Autore: Daniela

WISH LIST: 3 DESIDERI PER NATALE

Sembra un venerdì come tanti, invece è il 20 dicembre e l’ultima settimana prima di quella natalizia sta per concludersi. Ho finalmente concluso tutti le mie riunioni di questo intenso 2019, un anno che lavorativamente ha preteso moltissimo da me, un anno che, almeno per i primi 4 mesi, non sono stata in grado di mettere a fuoco, un anno in cui credo di aver affrontato tante cose, un anno per certi versi complicato, ma di cui essere davvero molto grata.

A pochi giorni dal Natale, guardo i regali pronti sotto l’albero già impacchettati e quelli sul tavolo ancora da sistemare. Controllo ripetutamente la lista per essere sicura che ci siano tutti, non so perché tutto d’un tratto mi ha preso questo strano timore di essermi dimenticata il regalo di qualcuno. Spero di aver scelto bene, di aver indovinato i desideri altrui, di aver trovato il regalo giusto per tutti.

Ho iniziato a fare i regali a fine novembre, subito dopo aver fatto l’albero qui a casa. Ho creato una lista con nome, regalo e budget per ottimizzare tempi e risultati, non volevo arrivare all’ultimo minuto e non volevo ripiegare su nessun piano B. E mi sono detta: se mi avanza tempo, compro qualcosa per me, mi faccio un regalo da sola, carta e nastro, tutto incluso.

Ho iniziato a curiosare online, su Instagram e in giro mentre acquistavo i regali per le persone a cui tengo. Ho visto un sacco di cose bellissime, cose che mi sarebbe piaciuto comprarmi per Natale. Ma ogni volta che stavo per dire “ecco, mi compro questo”, perdevo entusiasmo. Cercavo qualcosa di speciale.

Sono tornata indietro nei miei ricordi di bambina, quando con mia madre mi sedevo a scrivere la lettera a Santa Lucia che nella notte tra il 12 e il 13 dicembre sarebbe passata da casa nostra con il suo asinello e mi avrebbe lasciato ciò che avevo tanto desiderato. Era quasi sempre un giocattolo – perché da bambina non vuoi maglioni con strani animali – qualcosa con cui passare il tempo e fantasticare, qualcosa che davo per scontato mia madre non potesse comprarmi. Custodivo una lista di desideri per quel momento speciale, li immaginavo uno per uno, li vedevo nella mia mente, li desideravo talmente tanto che non poteva non avverarsi.

Adesso è tutto un po’ diverso, questo mondo è diverso, questo tempo soprattutto. Ho fatto una lista anche per me – certo, una letterina è tutta un’altra cosa, c’è molta più magia – un elenco di desideri e l’ho salvato sul pc, senza guardarlo più per giorni. E ogni giorno mi sono domandata se quelle cose fossero davvero ciò che desideravo, se di tutte quelle cose io avessi davvero bisogno.

Di cosa ho realmente bisogno per questo Natale? Qual è la mia wish list?

Ho preso la mia lista e tutte le cose che avevo elencato erano cose materiali, prevalentemente abbigliamento e prodotti make-up, tutte cose consumabili che un domani non avrò più o che ad un certo punto finiranno chissà dove perché non ci sarà nessuno a interessarsene quando io non ci sarò più. Sono stata qualche minuto a fissare lo schermo frugando nella mia testa alla ricerca di una risposta: c’è qualcosa che possiamo desiderare e che non dovremo mai buttare? Qualcosa che desideriamo avere sempre con noi anche quando la possediamo già?

Quest’anno ho cercato di buttare di meno e di aggiustare di più, di acquistare di meno, in modo più consapevole e di aver più cura e attenzione delle mie cose, di chiedere meno e di ringraziare di più, a parole e nei miei gesti quotidiani. Mi è sembrato di sentire che questo facesse di me una persona migliore e più ricca allo stesso tempo. Forse per questo credo che nessun regalo materiale possa sostituire tutto questo.

E’ stato ripensando a ciò che ho già e a ciò che non voglio più che ad un certo punto tutto è stato così evidente.

Per questo Natale ho solo 3 desideri: l’ebbrezza di una giornata passata a rilento per vivere e memorizzare ogni nanosecondo che spenderò con la mia famiglia, una vera buona notizia per noi donne e la neve, come nel più magico dei film.

CHIARA FERRAGNI – UNPOSTED HA UN SENSO

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Chiara Ferragni – Unposted è stato in programmazione per tre giorni in molte sale cinematografiche italiane. Ho acquistato il mio biglietto online un pomeriggio e mi sono presentata per lo spettacolo delle 18.15 nel cinema multisala più vicino all’ufficio. Ragazzine nemmeno quindicenni erano già in fila per accedere alla sala non appena il segnale sarebbe diventato verde sullo schermo.

Faccio fatica a ricordare quando sia stata l’ultima volta che sono andata al cinema di pomeriggio, forse quando ero ragazzina anche io.

Lo spettacolo è iniziato alle 18.45 ed è finito alle 20.05. Poco più di un’ora per mettere lo sguardo dentro la vita della più famosa delle influencer.

Chiara Ferragni – Unposted non è un film e non è nemmeno un documentario: io lo chiamo “doc-story”, letteralmente uno spaccato reale della vita di Chiara Ferragni. E non è vero che la narrazione non c’è.

Le prime immagini bucano lo schermo su Chiara e un’amica: vuole farsi un tatuaggio che aveva rimandato per via della gravidanza.

Farà male? No, comportati come la persona che vorresti essere.

La regista Elisa Amoruso è stata con Chiara per circa un anno, filmando, raccogliendo immagini e testimonianze per dare vita a questo progetto: il risultato è un montaggio narrativo basato su questo periodo di tempo in cui la convivenza ha consentito di entrare di più nel quotidiano della famosa impreditrice digitale, un quotidiano un po’ oltre quello che ci mostra Instagram.

La narrazione alterna immagini e frame della vita della Chiara Ferragni del presente alle immagini flash back di bambina uscite dalla telecamera di sua madre ossessionata dall’idea di dover documentare i momenti più importanti della sua famiglia, soprattutto compleanni e vacanze.

Come a dire che ogni momento va ricordato perché ti servirà.

Il racconto è arricchito da voci e altri punti di vista esterni alla famiglia: professionisti del mondo della moda, collaboratori, giornalisti, scrittori che offrono la propria opinione su chi è davvero questa ragazza oltre lo schermo dello smartphone, oltre l’icona che è diventata per molti.

Chiara inizia la sua avventura molto presto: la condivisione di sue foto online sono precedenti l’avvento dei social media come li conosciamo oggi. Apre il suo blog inventandosi un nome senza alcun particolare studio di branding e nasce The Blonde Salad. E’ il 2009, ci sono già haters che la attaccano e l’eco di voci autorevoli del mondo della moda pronti a scommettere che non durerà risuona al ritmo di un tormentone.

Con la disinvoltura di chi sa ciò che vuole anche se non sa come andrà, senza voltarsi mai indietro, Chiara riesce ad avere accesso al mondo della moda, soprattutto quella del lusso, un mondo con una porta molto dura da aprire per chi non proviene da lì: è un ambiente tradizionalista dove non c’è spazio per chiunque, un ambiente che solo negli ultimi anni ha preso consapevolezza che la trasformazione digitale è in atto, che i social media hanno dato voce e potere di espressione a milioni di persone. E che se non capisci cosa sta accadendo intorno a te, resti fuori dai giochi.

Come la più moderna delle pioniere, Chiara si avventura in un mondo che non conosce e crea un linguaggio nuovo, all’inizio apparentemente sterile e privo di ascolto, eppure più accessibile di quanto si possa immaginare: il suo viaggio comincia a delinearsi, una nuova forma di comunicazione dà vita a una condivisione di espressione che, nel suo caso, passa da personale a universale.

Chiara racconta in prima persona, a volte in una formale intervista di fronte alla telecamera, altre volte indirettamente mostrando momenti delle sue giornate, mentre si preparare per andare a un evento o a una sfilata, mentre decide che vestito indossare o durante un meeting di lavoro seduta al tavolo col suo team, il tutto intervallato da scene a rallentatore come un video musicale, da immagini in stile real tv e frammenti amatoriali di un’infanzia felice trascorsa alla ricerca della risposta alla più semplice delle domande: cosa vuoi fare da grande?

Lo sguardo dello spettatore passa dal cielo di Los Angeles al divano di Diane Von Furstenberg, dalla settimana della moda ai preparativi del matrimonio in Sicilia, mentre la regista Elisa Amoruso ci offre un giro sulla giostra di Chiara Ferragni e del suo mondo apparentemente senza messe in pausa, dentro il suo guardaroba, in cima a un grattacielo, seduta in riva all’oceano o in piazza Duomo a tarda ora quando Milano diventa silenziosa ed è sicuro che persino i piccioni sono andati a dormire e non interferiranno nello sfondo dell’ennesima foto.

Elisa Amoruso intreccia immagini di sfilate e momenti personali del passato e del presente con proiezioni di vendite, numeri di business, cifre di un’azienda che ha raggiunto fatturati milionari e dà lavoro a quasi 80 persone. Ma se qualcuno si aspettava di sedersi al cinema e assistere alla messa in onda di una tipica giornata da business woman, tra scarpe, borse e set fotografici, per capirne i segreti del successo e i ritmi folli, la gestione degli impegni e del tempo, beh non è così.

Chiara Ferragni – Unposted non è un film, è un racconto del reale.

E’ uno spaccato di momenti di smacco e di delusione professionale assieme a quelli più privati, dolorosi e amari, per nulla troppo diversi da qualunque altra vita. Perché anche se sei in grado perfettamente di contare su te stessa e nessuno può credere in ciò che fai più di quanto ci credi tu, le perdite lungo il percorso fanno male ma sono una realtà da accettare, soprattutto quando sai che chi non sta più dalla tua parte non ti lascia segni di luce. 

Chiara Ferragni – Unposted mi è piaciuto perché ha qualcosa di potente da dire: tutto ciò che succede nella nostra vita ha un senso, che siamo noi, che siano le persone attorno a noi, che siano i nostri sogni o le nostre paure, poco importa.

Non esiste nulla che non siamo in grado di fare perché ognuno di noi è responsabile della propria storia.

Quindi, prendiamo coraggio e impariamo a comportarci come la persona che vorremmo essere davvero.

E ad ogni passo, quel momento avrà un senso.

 

SICILIA: UN VIAGGIO INASPETTATO

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Questo non è un articolo da travel blogger, questo è il racconto di un viaggio che non sapevo dovessi fare.

Quest’anno non mi è stato possibile organizzare le vacanze con il giusto anticipo ma sapevo di aver bisogno di relax e di mare.

Ogni anno, quando si avvicina il momento di decidere dove trascorrere le vacanze estive, tendo a puntare subito su qualche meta estera perché mi sento sempre assetata di vedere posti nuovi, soprattutto se sono posti lontani. Così quest’anno avevo iniziato a valutare destinazioni come Minorca e la Grecia, dove – in entrambi i casi – non ero mai stata.

Nonostante le idee apparentemente chiare, nè Minorca nè la Grecia hanno soddisfatto le mie esigenze che erano principalmente quelle di far coincidere voli disponibili e date ormai già stabilite.

E poi, come spesso accade, la soluzione ti si presenta sotto gli occhi come un dono ma in realtà era sempre stata lì e non ero riuscita a vederla. E mi sono detta: voglio andare in Sicilia.

Conosco la Sicilia per ragioni familiari: mio nonno era siciliano e quando ero bambina il viaggio in Sicilia era una vera grande avventura.

Partivamo in auto con la mia famiglia: mio padre guidava per tutto il viaggio da Bergamo a Giarre, una cittadina in provincia di Catania. Mia madre preparava panini imbottiti e pizza fatta in casa e avvolgeva tutto nella carta stagnola. Il tutto era accompagnato da un thermos di caffè, uno di thè e ovviamente acqua.

Si partiva per andare al mare e per andare dai nonni.

Era un viaggio lungo, ma per me che ero una bambina era il viaggio che attendevo tutto l’anno. Una volta arrivati a Villa San Giovanni si traghettava fino a Messina e una volta di là in un paio d’ore eravamo a destinazione.

Nel corso degli anni, con i miei abbiamo visitato la Sicilia più volte: ogni anno, durante il soggiorno dai miei nonni, c’era sempre occasione di andare a vedere qualcosa di nuovo: Taormina, Castelmola, i Crateri Silvestri, la Valle dei Templi di Agrigento, Palermo, Monreale, le Isole Eolie. Ogni volta un pezzetto di Sicilia in più, ogni volta qualcosa di nuovo per gli occhi.

Finché arriva un momento in cui le cose cambiano, si cresce, perdiamo qualcuno che amiamo e la vita ti da e chiede altro.

Durante i primi anni del liceo i miei nonni sono mancati e subito dopo il liceo ho iniziato l’università e il tempo delle vacanze estive ha cominciato a ridursi. Poi mi sono laureata, ho trovato un lavoro e ho smesso di andare in Sicilia coi miei. La casa dei miei nonni, piena zeppa di ricordi, non c’è più e loro riposano al cimitero sotto un sole cocente a cui nessun fiore può resistere. E quando diventi adulto, certe cose ti mancano: è come se fossero state dormienti per un po’ e poi cominciassero a svegliarsi e mandarti messaggi che tu fai fatica a interpretare, perché sei adulto e non vuoi più fare le cose che facevi da bambino, ma anche perché crescendo ci irrigidiamo e tendiamo ad alzare barriere, anche con noi stessi.

L’ultima volta che sono stata in Sicilia prima di queste vacanze è stato nel 2010 in occasione di una nuova nascita in famiglia: il nuovo arrivato aveva la precedenza su tutto il resto, giustamente. Sono stata tre giorni coi parenti e non c’è stato tempo per fare altro.

E poi è arrivato questo 2019 che mi ha messo un po’ alla prova e mi ha costretta a rivedere un po’ le mie priorità.

Non mi erano rimasti molti giorni disponibili perché per agosto avevo già organizzato un viaggio in Normandia, ma in poco tempo ho trovato volo, hotel e auto a noleggio: avevo un piano in mente, dovevo solo metterlo in pratica.

Il viaggio in Sicilia – per chi mi segue su Instagram lo sa – non era previsto, è stata una decisione dell’ultimo minuto. E ho scelto di concentrare il mio soggiorno nella meravigliosa zona del Barocco, che in tanti anni e in tanti viaggi, non avevo mai visto. Ho preso un hotel a Noto, appena poco fuori dalla città, una stupenda masseria rimessa a nuovo in mezzo ai cactus e agli ulivi: avevo bisogno di uno spazio aperto, di un paesaggio da guardare ogni  giorno e assimilare lentamente, e di vedere il tramonto.

Ho fissato alcune mete principali in modo da poter girare un po’ ma senza affanno e senza sprecare troppo tempo in spostamenti eccessivamente lunghi. Volevo rilassarmi, fare esperienza con gli occhi e vedere ciò che mi mancava.

Le mete sono state scelte precise: Noto, Marzamemi, Siracusa e Modica sono state le tappe del mio viaggio, alternando la visita di una città alle ore di mare, di cui avevo estremamente bisogno: il cielo blu che non conosce nuvole, il flacone della crema protettiva sporco di sabbia, la portiera dell’auto bollente perché il parcheggio non ha nemmeno una zona d’ombra, la granita al gusto di mandorla che si scioglie in bocca, trenta gradi senza una goccia di sudore addosso, l’acqua del mare trasparente di un colore che ti chiedi come possa esistere in natura e il sale che ti fa tirare la pelle finché non arriva il momento della doccia. Il profumo della grigliata di pesce e quel bicchiere di vino bianco che da il tocco finale a tutta questa ebbrezza.

E il tempo, se pur breve, si è dilatato. Cinque giorni mi sono sembrati il doppio, il sole sembrava non voler tramontare e la mia giornata trascorreva più lenta, come se la Sicilia sapesse già cosa stessi cercando.

Ho vissuto la Sicilia alternando i miei ricordi di bambina e svegliando il mio stupore intorpidito di fronte a una bellezza e a una luce che mi è rimasta negli occhi: la sera quando andavo a dormire, prima di sognare vedevo ancora colori, luoghi, profumi che la giornata mi aveva offerto e che mi erano entrati dentro e rimasti addosso.

Ho assaggiato tutto ciò che ho potuto, respirato a cuore aperto sensazioni che temevo di aver dimenticato e mi sono goduta a fondo ogni singolo istante di tutto.

E le onde del mare sono un suono che non va più via.

Perché il viaggio è cercare e trovare.

Io non sapevo di dover cercare, ma ho trovato tanto, me lo sono tenuta addosso e portata a casa.

Per questo mi sembra che ci sia più luce anche adesso che sto scrivendo.